Responsabilità nel caso di lesioni causate da un cane randagio
Nel caso di danni causati da un cane randagio la responsabilità va attribuita alla ASL, che è onerata della vigilanza sugli animali randagi, in solido con il Comune che è, viceversa, gravato del compito di predisporre l’organizzazione, prevenzione e controllo dei cani vaganti. Tanto è stato stabilito con Ordinanza del 10-09-2019, n. 22522 dalla Sez. III della Cass. civ. che ha rigettato il ricorso della Asl che sosteneva che di non avere il compito di controllare continuamente il territorio comunale per verificare la presenza o meno di randagi ma che gli fossero affidati soltanto compiti di profilassi e polizia veterinaria ed il servizio di accalappiamento a seguito di segnalazione.
La Cassazione ha invece affermato la responsabilità solidale del Comune con la Asl di competenza (Cass., 3, n. 17528 del 23/8/2011; Cass., 3, n. 15167 del 20/6/2017) o in alcuni casi addirittura la sola competenza dei servizi veterinari della Asl (Cass., 3, n. 17060 del 28/6/2018), soggetto individuato dalla normativa regionale quale competente in materia di prevenzione del fenomeno del randagismo.
Il principio generale è quello di radicare la responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi nell’ente o enti cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l’attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale è il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest’ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al più, una solo generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo (Cass., 3, n. 12495 del 18/5/2017).
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ARMANO Uliana -Presidente -Dott. SESTINI Danilo -Consigliere -Dott. OLIVIERI Stefano -Consigliere -Dott. GIANNITI Pasquale -Consigliere -Dott. MOSCARINI Anna -rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA sul ricorso 28344-2017 proposto da: AZIENDA SANITARIA LOCALE BENEVENTO in persona del Direttore Generale
Dott. P.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO MENNITTO, CATERINA COSTANTINI;
-ricorrente contro PA.MA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PARIGI 11, presso lo studio
dell’avvocato CRISTIANA MARCHETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati FERNANDO COSIMO SCARAMOZZA, ANTONIO FUSCO; COMUNE BENEVENTO in persona del Sindaco p.t. On. M.C., elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 41/A, presso L’AGENZIA ESSE SESSA MARISA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO BEATRICE; -controricorrenti
avverso la sentenza n. 1583/2017 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 01/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 10/6/2010 Pa.An. citò la Asl di Benevento davanti al Giudice di Pace della stessa città per sentir dichiarare la responsabilità della stessa nella causazione del sinistro avvenuto il giorno (OMISSIS) sulla strada statale in direzione (OMISSIS) località Contrada (OMISSIS) a causa di un cane randagio che aveva investito la sua autovettura, procurando danni non inferiori ad Euro 4.900.
Nel contraddittorio con la ASL che eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva e con il Comune di Benevento, chiamato in causa dalla ASL, il Giudice di Pace accolse la domanda e condannò la ASL in solido con il Comune di Benevento a pagare in favore dell’attore la somma Euro 4.108,86, oltre interessi e spese.
Il Tribunale di Benevento, adito in appello dalla ASL in via principale ed in via incidentale dal Comune di Benevento, ha accertato che il cane fosse randagio, e che sussistesse la legittimazione passiva di entrambi i convenuti, della ASL onerata della vigilanza sugli animali randagi e del Comune gravato del compito di predisporre l’organizzazione, prevenzione e controllo dei cani vaganti.
In particolare la sentenza ha valorizzato la testimonianza del teste R., residente nella zona, che aveva riferito della presenza di molti randagi, senza collare o museruola, nella stessa zona, segnalati in più occasioni alle autorità di competenza e che il grosso cane randagio, all’atto del sopraggiungere dell’autovettura dell’attore, aveva attraversato la strada per unirsi ad un branco di altri cani, tagliando la strada alla Fiat Punto che procedeva verso Benevento.
In assenza di prova che il cane fosse, invece, di proprietà di qualcuno, il Giudice ha rigettato sia l’appello principale sia quello incidentale, confermando l’impugnata sentenza e condannando l’appellante alle spese del grado.
Avverso la sentenza la ASL di Benevento ricorre sulla base di quattro motivi. Resistono con distinti controricorsi Pa.Ma. ed il Comune di Benevento.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’errata interpretazione della normativa vigente. Violazione della L.R. Campania, art. 6 attuativa della L. n. 281 del 1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Censura la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto puramente e semplicemente la legittimazione passiva della ASL senza valutare che alla medesima erano affidati solo compiti di profilassi e polizia veterinaria ed il servizio di accalappiamento ma non anche il compito di controllare continuamente il territorio comunale per verificare la presenza o meno di randagi.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia error in procedendo (senza illustrarlo), violazione dell’art. 2697 c.c., omessa e contraddittoria motivazione su un punto essenziale della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Censura la sentenza nella parte in cui non si è fatta carico di accertare un comportamento omissivo colposo della ASL, consistente ad esempio in un suo mancato intervento a seguito di tempestiva chiamata da parte del Comune o di altri. La sentenza avrebbe dovuto addossare l’intera responsabilità al Comune tenuto al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza sulla base della giurisprudenza di questa Corte.
1.-2. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione e sono entrambi inammissibili sia perchè la sentenza impugnata ha deciso in senso conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, sicchè i motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., sia perchè viene proposta, in termini peraltro inammissibili, una censura motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non proponibile in base all’art. 348 ter c.p.c., comma 4, in presenza di una cd. “doppia conforme”.
In sostanza la ricorrente tende a contestare che, in base al quadro normativo, costituito dalla legge quadro nazionale e da quella regionale, non ci sarebbe un obbligo per la ASL di controllo continuo del territorio comunale ma solo un obbligo specifico di intervento per la cattura dell’animale randagio a seguito di segnalazione, mentre la giurisprudenza di questa Corte si sarebbe orientata, in altri casi analoghi, a ritenere la responsabilità del Comune. I motivi sono inammissibili perchè, come affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, la disciplina stabilita a livello nazionale dalla L. 14 agosto 1991, n. 281 ha demandato la competenza a legiferare in materia di randagismo alle Regioni e la Regione Campania, con la L. 24 novembre 2001, n. 16, ha affidato la competenza della vigilanza e del controllo del randagismo, con accalappiamento e trasferimento degli animali randagi nei canili pubblici, ai servizi veterinari della ASL, mentre ha riservato ai Comuni il compito di munirsi dei canili nei quali ricoverare i cani catturati e quello di risanare le strutture esistenti.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte, con particolare riguardo alla legge Regione Campania, ha confermato questo quadro normativo (Cass., 3, n. 8137 del 3/4/2009) ed ha, al più, in generale affermato la responsabilità solidale del Comune con la Asl di competenza (Cass., 3, n. 17528 del 23/8/2011; Cass., 3,
n. 15167 del 20/6/2017) o in alcuni casi addirittura la sola competenza dei servizi veterinari della Asl (Cass., 3, n. 17060 del 28/6/2018). Anche a prescindere dal caso specifico della regione Campania la cui legislazione è tuttavia vincolante nel caso di specie, il principio generale, affermato dalla giurisprudenza di legittimità alla quale si intende dare pienamente continuità, è quello di radicare la responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi nell’ente o enti cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l’attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale è il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest’ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al più, una solo generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo (Cass., 3, n. 12495 del 18/5/2017). Sulla base di questo principio generale la ASL è il soggetto individuato dalla normativa regionale quale competente in materia di prevenzione del fenomeno del randagismo.
Da quanto premesso discende l’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso volti a censurare la sentenza per non aver escluso la legittimazione passiva della ASL. 3. Con il terzo motivo si censura la manifesta contraddittorietà nell’applicazione della normativa con riferimento ad altri giudicati del medesimo Tribunale che avrebbero deciso diversamente, escludendo la responsabilità della ASL. Si tratta di un non-motivo, che fuoriesce dai limiti delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., ed è, pertanto radicalmente inammissibile.
- L’inammissibilità dei precedenti motivi travolge nella stessa sorte anche il quarto motivo volto a censurare la statuizione sulle spese, poste a carico di entrambi i soggetti soccombenti nel giudizio di appello, ASL e Comune di Benevento.
- Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ASL ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi in favore di Pa.An., mentre il Comune di Benevento avendo agito ai soli fini di litis denuntiatio non avendo un effettivo interesse al ricorso, non ha diritto alla liquidazione delle spese. Va posto a carico del ricorrente il cd. “raddoppio” del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi in favore del Pa. nella misura di Euro 1.200
(oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 6 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019